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5 risultati 86
  • Gianni Vattimo e via Po
    Nelle sue opere si è occupato dell'ontologia ermeneutica contemporanea, proponendone una propria interpretazione, che ha chiamato pensiero debole, in contrapposizione con le diverse forme di pensiero forte dell'Otto-Novecento: l'hegelismo con la sua dialettica, il marxismo, la fenomenologia, la psicanalisi, lo strutturalismo. Sembra ieri quando le studentesse accorrevano a Palazzo Nuovo, la sede delle facoltà umanistiche a Torino, per vedere il bel filosofo biondo che parlava di Nietzsche e Heidegger, per di più fresco di coming out, che in quegli Anni 70 non era ancora una moda ma un’uscita coraggiosa, e per tutta una fetta di mondo engagé un’ulteriore aura di fascinazione. Oggi Gianni abita in un grande appartamento di via Po affacciato sul Rettorato dell’Università dove ha insegnato fino al 2008, e dove ora è professore emerito. Ammette che ci ha provato gusto in certi casi a provocare e spiega: «Ma perché non dovrei divertirmi? Una volta un gruppo di madame torinesi mi aveva invitato a una conferenza sui giardini, e io ho concluso il mio intervento - dove si parlava di un giardino dei sentieri che si biforcano, una cosa un po’ borgesiana - cantando quella canzone di Brassens, “Je suis la mauvaise herbe, braves gens, braves gens…”. Sì, l’unica figura che mi piace oggi è la figura di uno che rompe le palle». E di Torino dice: «È una bellissima città, come diceva Nietzsche quando era già pazzo. Ma forse quando lo diceva non era poi così pazzo».
    21/1/2022
  • Re Vittorio Emanuele II e il Palazzo Carignano
    Nacque a Torino il 14 marzo 1820, figlio di Carlo Alberto di Savoia-Carignano e Maria Teresa d’Asburgo. La vita di Vittorio Emanuele venne subito avvolta da un’aura di mistero, quando da bambino si salvò miracolosamente ad un incendio che scaturì nel palazzo Carignano, luogo in cui era nato e viveva. Il 16 settembre 1822, infatti, la nutrice che si occupava del futuro sovrano fece cadere una candela nella culla del piccolo Savoia incendiandola. La donna si provocò numerose ustioni sul corpo, ma riuscì a trarre in salvo indenne Vittorio Emanuele II. Almeno, questo è quanto documentato dalla versione ufficiale, visto che subito cominciò a circolare la “leggenda metropolitana” che il bambino fosse morto e subito sostituito con un pari età. Probabilmente il figlio di un macellaio fiorentino che da anni si era trasferito nel capoluogo subalpino. Leggenda, alimentata negli anni, dal fatto che Vittorio Emanuele non assomigliasse al padre Carlo Alberto. Non solo da un punto di vista somatico, ma anche caratteriale. Carlo Alberto, infatti, era un uomo alto, biondo e slanciato, mentre il figlio bruno e tarchiato. Altro tratto molto differente tra i 2 erano le mani. Quelle di Carlo Alberto erano snelle e piccole, quelle di Vittorio Emanuele molto grosse, come dicevano le malelingue proprio da macellaio!
    19/1/2022
  • Umberto I e il Duomo di san Giovanni
    Nacque il 14 marzo 1844 a Torino, da Vittorio Emanuele II, allora duca di Savoia ed erede al trono sardo, e da Maria Adelaide d'Austria. La sua nascita fu molto festeggiata dal popolo piemontese, nonché dalla famiglia reale, che così poté vedere assicurata la discendenza maschile. Egli trascorse tutta la sua infanzia nel castello di Moncalieri, dove ricevette una formazione essenzialmente militare; fu questa dura disciplina che ne formò il carattere. In quegli anni Umberto intrattenne una relazione sentimentale con la duchessa Eugenia Attendolo Bolognini Litta, che durerà per tutta la vita. Umberto sapeva però che si sarebbe dovuto piegare a un matrimonio di convenienza. Fu scelta la principessa Margherita di Savoia. Umberto e Margherita si sposarono nel Duomo di san Giovanni a Torino il 22 aprile 1868; furono le "nozze del secolo" di allora, e per quell'occasione re Vittorio Emanuele II creò il corpo dei corazzieri reali, che dovevano fungere da scorta al corteo regale, e l'Ordine della Corona d'Italia, con cui venivano premiati tutti coloro che si erano distinti al servizio della Nazione. Alla morte del padre Vittorio Emanuele II, il 9 gennaio 1878, Umberto gli succedette col nome di Umberto I. Nello stesso giorno egli emanò un proclama alla Nazione in cui affermava: Il vostro primo re è morto; il successore vi proverà che le istituzioni non muoiono!
    17/1/2022
  • Armando Testa e il Castello di Rivoli
    Ippopotami azzurri, uomini a forma di palla, poltrone rivestite di prosciutto: no, non è il mondo incantato di un bambino, è la realtà vista con gli occhi di Armando Testa, l’artista e pubblicitario torinese che ha plasmato il nostro immaginario collettivo attraverso figure e slogan divenuti iconici. “Sono nato povero, ma moderno”, così amava dire. E non era una semplice frase ad effetto. C'è ancora la guerra nel 1917, quando Armando Testa viene alla luce, e la vita non è facile per un ragazzino che a 11 anni perde il padre e a 14 finisce a lavorare in una tipografia. Ore ed ore passate ad impaginare libri d'arte indolenziscono le dita, ma spalancano i pensieri. Da quei libri sboccia una passione che non si estinguerà più. Il primo bozzetto risale al 1937, per una ditta di colori, ma bisogna attendere la fine di un'altra guerra per cominciare a fare sul serio. È il 1946 quando Armando a Torino crea la sua agenzia pubblicitaria, un marchio che tutt'oggi, a 25 anni dalla sua morte, è leader indiscusso del settore. Torino, città natale di Testa, ha dedicato all'artista nel 2001, al castello di Rivoli, una mostra commemorativa dal titolo Less is more, in onore al suo minimalismo.
    14/1/2022
  • Umberto Tozzi e via Botero
    Cresciuto nella zona torinese di via Fréjus/Corso Peschiera, tra Borgo San Paolo e quartiere Cenisia, cominciò a suonare la chitarra a 13-14 anni, nella sala prove dell'oratorio della chiesa Gesù Adolescente, ma le vere prime esperienze musicali cominciarono l'anno dopo, nel 1967, come chitarrista della band del fratello maggiore Franco. Il padre era migrato a Torino dal Gargano e manteneva tre figli con lo stipendio da guardiano notturno. Racconta Umberto: “Tornava a casa mezzo congelato, qualche volta gli rubavano pure la bicicletta, si mangiava carne una volta alla settimana. Ma il lavoro c’era, si avvertiva un’idea di futuro”. Ma quali erano i locali che il giovane Tozzi frequentava negli anni Settanta? «Lo Swing Club di via Botero era il ritrovo di noi musicisti e aspiranti tali. C’era un’aria cosmopolita, anche perché spesso suonavano jazzisti americani. Alla fine si commentava il concerto durante la spaghettata delle due del mattino. Nel mio quartiere, Borgo San Paolo, c’era invece Cenisia con il Voom Voom, lì passavano le star a fare il classico concertino di tre quarti d’ora con le canzoni famose».
    12/1/2022

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