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Rame

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  • Episodio 118. Finita l’università, sto pagando di nuovo per studiare: quanto costa trovare un lavoro?
    Margherita, 26 anni, cresce a Cutrofiano in una famiglia dove i soldi “non mancano” ma si nominano a bassa voce. Dal padre, ingegnere informatico salito per gradi dalle radici contadine, eredita una bussola severa: ogni spesa è una responsabilità. «Per molti spendere è libertà o espressione. Io invece—anche da bambina—ci pensavo mille volte prima di farlo». Studia Economia a Ferrara, si laurea con il massimo dei voti, poi la magistrale in Marketing a Torino: sempre in pari, mai un “colpo a vuoto”. In testa, un obiettivo chiaro: far sì che le spese sostenute dai genitori durino il meno possibile.Poi, finita l’università, la promessa del merito si sgonfia. «Avevo già dato tutto nello studio. Ero pronta a mostrare ciò che avevo imparato e a diventare indipendente. Ma non è stato così semplice». Torna in Puglia, torna in famiglia, torna l’ansia di “pesare”. I dati lo confermano: a due anni dal titolo, la disoccupazione tra i neolaureati resta intorno al 9–11%. «Non si parla abbastanza di quanto sia difficile il passaggio dall’università al lavoro», dice. Dopo centinaia di candidature, trova un posto nel marketing: prima stage da 700 euro al mese, poi apprendistato triennale da 1.200. I conti tornano perché vive a Gallipoli in una casa dei genitori, ma il lavoro non è quello che immaginava: «Mi sentivo regredita sotto ogni punto di vista… Non era la carriera da film che avevo pensato».L’overqualification logora fiducia e portafogli. Finché il padre le suggerisce ciò che lei non avrebbe osato: un master. Margherita fa i conti e capisce che con i risparmi dei primi due anni può coprire l’affitto a Roma, mentre per la retta ricorre a un prestito d’onore.È l’ennesima spesa “per studiare”, ma anche un tentativo di riallineare desideri e realtà, paura e ambizione. «Mi sento in colpa, ma sapere che i miei non stanno sacrificando nulla mi alleggerisce. Se dovesse andare male, ho tutta la vita per poter recuperare i soldi spesi». La sua storia parla di una generazione che paga—in tempo e denaro—il pedaggio tra laurea e lavoro. Dove l’educazione all’autonomia è anche imparare quando investire ancora su di sé.
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    16:13
  • Storie di credito 02. Ileana, che compra a rate non per necessità ma per strategia
    Ileana ha 65 anni e vive a Varese, la città dove è nata e cresciuta in una famiglia monoreddito. Nonostante le risorse fossero limitate, in casa non è mai mancata un’attenta gestione del denaro. Per il padre, poi, c’era una spesa che valeva più di tutte: quella per lo studio. E infatti entrambe le figlie hanno proseguito gli studi. Ileana sceglie Architettura e si trasferisce a Genova per frequentare l’università.Dopo la laurea, rientra a Varese, apre la Partita Iva e inizia subito a lavorare come libera professionista. Sono anni favorevoli per il mercato edilizio, e Ileana decide di comprare casa accendendo il suo primo mutuo. «Non avevo un capitale sufficiente per acquistare la casa senza rateizzare», racconta. Quell’esperienza le apre una prospettiva nuova: la possibilità di gestire grandi spese nel tempo. «Trovo assurdo, dal mio punto di vista, spendere 4.000 o 5.000 euro per un computer quando posso dilazionare la spesa. Lo stesso vale per l’auto: non ne ho mai comprata una senza rateizzarne l’acquisto».Oggi, comprare a rate non è più soltanto una necessità, ma può diventare una scelta consapevole e strategica. Significa gestire meglio la liquidità, mantenere flessibilità finanziaria, distribuire le spese nel tempo e, in certi casi, ottimizzare anche dal punto di vista fiscale.Nella puntata, l’esperta Martina Moraschi di Sella Personal Credit spiega quando dilazionare una spesa è una decisione saggia, quando invece può trasformarsi in un rischio e qual è il momento giusto per estinguere un prestito.Questo podcast è una co-produzione di Rame e Sella Personal Credit.
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    12:12
  • Rituali 17. Vera Gheno: «Quando ho mantenuto un uomo, l’ha vissuto come un’onta — e il desiderio si è spento»
    Linguista, saggista e attivista, Vera Gheno cresce in una famiglia monoreddito, con il padre – linguista e professore associato – come unico percettore di reddito. La dipendenza economica di sua madre è la leva che la spinge a lavorare fin da giovanissima: «Mia madre ha sempre avuto la paghetta da mio padre e nella loro lunga relazione felice non sono mancati momenti in cui ha detto: “Se solo potessi divorziare…”. Ma non poteva farlo, perché non aveva un reddito». Vera già a 16 anni lavora come receptionist in un ostello della gioventù, a 20 anni posa come modella di nudo per artisti: «Mi pagavano 250mila lire per tre ore. Le mie amiche che portavano pizze a domicilio ne guadagnavano 20». Una volta laureata, si scontra per la prima volta con la precarietà del mondo accademico: assegni di ricerca rinnovati di anno in anno, compensi incerti e orizzonti sempre da ricostruire. «L’ambiente accademico è stato il driver per costruirmi un gruzzoletto, perché non sai mai cosa possa succedere domani». Il suo reddito è un patchwork di molte attività: la collaborazione con l'Accademia della Crusca, le traduzioni dall'ungherese, le consulenze sui social media e infine l'attività di autrice. A oggi ha scritto 17 libri, che ogni anno le garantiscono una rendita passiva che Vera considera la sua pensione.Nel frattempo Vera si sposa, diventa madre e, dopo alcuni anni, si separa. Ma è proprio quella riserva di autonomia economica, costruita con determinazione, che le permette di affrontare il divorzio senza preoccuparsi dell’aspetto finanziario. Dopo il matrimonio, Vera entra nella “fase due” della vita sentimentale: «Quello che uno fa a 20 anni io l’ho fatto a 35»—e lì si ritrova più volte a mantenere partner irrisolti. Capisce presto il nodo: «Un uomo disoccupato e scontento del suo percorso lavorativo vive il mio sostegno come un’onta… con conseguenze pratiche anche nella relazione, perfino nella sessualità». Non a caso la stabilità sentimentale arriva con qualcuno «molto felice del suo percorso professionale».Sul denaro, niente tabù. «La maggior parte delle persone prova un enorme imbarazzo a parlare di denaro. E se a farlo è una donna è ancora peggio». Oggi rivendica la dignità di chiedere il giusto («quando mi invitano a parlare monetizzo anche il tempo di viaggio e l’assenza da casa») e invita a non provare sensi di colpa: «Io non ho mai avuto il desiderio di accumulare all’infinito ma di avere i soldi per potermi permettere di dire, per esempio: “Prendo due giorni e vado alle terme”. E credo che non dovremmo vergognarci di questo. Viviamo nella società del senso di colpa: è giusto prenderci responsabilità e consapevolezza dei privilegi, ma non dovremmo sentirci in colpa solo perché guadagniamo».
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    26:56
  • Episodio 117. Giulia Muscatelli: «Così le mancanze emotive si trasformano in bisogni materiali»
    Giulia Muscatelli ha 36 anni, fa la scrittrice e vive a Torino, città dove è nata e cresciuta. La sua famiglia è ricca. O almeno così crede, osservando il modo di spendere di suo padre, giornalista sportivo affetto da disturbo bipolare, all'epoca non diagnosticato. A 11 anni, il fragile castello di agio  in cui ha vissuto per tutta l'infanzia crolla: suo padre muore in un incidente stradale e madre e figlia si trovano a dover affrontare non solo l’assenza, ma anche la scoperta che al posto di una ricchezza c'è una montagna di debiti: «Ventimila euro di multe, seimila euro di canoni…».Dopo il liceo, Giulia inizia a lavorare come cameriera e animatrice per contribuire alle spese e aiutare sua madre. E intanto studia. Prima Giurisprudenza, poi passa a Lettere, infine tenta quasi per gioco il test di ammissione alla scuola Holden, una delle più ambite scuole di scrittura creativa italiana. Con grande sorpresa, viene ammessa. E così, per frequentare la Holden, Giulia congela gli esami universitari, fa un prestito e continua a lavorare come cameriera. Una volta terminati gli studi, le viene offerta l’opportunità di collaborare con l’istituto. Sua madre vorrebbe che completasse l’università, ma Giulia decide di interrompere gli studi e iniziare a lavorare.Apre così la Partita Iva e alla collaborazione con la Holden affianca esperienze nel mondo della pubblicità, arrivando a guadagnare anche 4.000 euro al mese. Tutto denaro che spende in vestiti e cene, un modo per tentare di colmare un vuoto interiore che cresceva dentro di lei, ma ignorando tasse e cartelle esattoriali: «Non è che non pagassi mai le tasse: ne pagavo solo alcune, totalmente a caso, in uno stato di incoscienza identico a quello di mio padre. Ho proprio perpetuato qualcosa che avevo visto fare a lui». In sei anni, i debiti raggiungono i 50 mila euro.La svolta arriva quando entra nella sua vita il suo attuale compagno, e Giulia decide finalmente di affrontare la situazione, aiutata da una consulente finanziaria e spinta dalla gravidanza imminente: «Il giorno dopo aver scoperto di essere rimasta incinta, mi è arrivata l’ultima cartella esattoriale da 16.000 euro. Mi sono spaventata, ma non perché i figli ti cambiano: ho avuto paura che mio figlio potesse crescere come me».Nel suo percorso di consapevolezza, segnato da incertezze e compromessi, Giulia si sta rendendo conto che il primo passo concreto per trasformare il suo rapporto con i soldi è proprio abitare questa complessità: «Per questo mi piace scrivere di soldi: non sono assolutamente risolta, c’è un caos enorme dentro di me». Un tema che Giulia esplora anche in Poveraccia, il suo podcast appena uscito per Mondadori Studios.
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    16:35
  • Rituali 16. Anna Gregorio: «Io, astrofisica per l'Esa, ho dovuto diventare imprenditrice per guadagnare con dignità»
    Anna Gregorio è un’imprenditrice e docente dell’Università di Trieste, che coordina missioni spaziali per l’Agenzia Spaziale Europea e, contemporaneamente, ha fondato un’azienda oggi riconosciuta come PMI innovativa dell’anno. La sua storia intreccia scienza, determinazione e la capacità di affrontare sfide straordinarie, spesso senza ricevere il riconoscimento che meritava.Nata e cresciuta a Trieste in una famiglia economicamente stabile, Anna sogna l'indipendenza economica ma ha il mandato di studiare: «Avrei voluto fare qualche attività per essere indipendente, però mi era praticamente vietato, perché dovevo studiare: prima l’università, poi il dottorato, ed è chiaro che è difficile essere indipendenti con la borsa di dottorato».La svolta della sua carriera scientifica arriva con la missione Planck dell’Agenzia Spaziale Europea, in cui le viene dato un ruolo di primo piano. Un’esperienza intensa e globale che le permette di acquisire competenze uniche e riconoscimenti internazionali. Tuttavia, al rientro in Italia, il meritato riconoscimento economico e professionale non arriva: «Sono passati tutti i miei colleghi davanti a me, io proprio in coda ultima». È una delusione che la segna profondamente, ma non la ferma.Da questa frustrazione nasce la decisione di fondare un’azienda nel settore spaziale. Determinata a riconoscersi da sola il merito che l’accademia non le dava, affronta anni iniziali durissimi, ma la sua esperienza e reputazione aprono porte importanti. Dopo la pandemia arrivano i primi finanziamenti, e nel 2021 l’azienda conquista il primo cliente commerciale in Europa, fino ad arrivare a lanciare tre sistemi in orbita, incluso un satellite per il 5G nel luglio 2025.Nonostante il successo imprenditoriale le abbia finalmente permesso di valorizzare il proprio lavoro, l’insoddisfazione in ambito accademico resta. Gestire un’azienda l’ha costretta a lavorare part-time all’università, ma il compromesso non si traduce in più tempo libero: «In realtà lavoro molto più dei miei colleghi e, nonostante questo, vengo pagata solo due terzi del loro stipendio». Una contraddizione che Anna affronta con pragmatismo, ma che racconta quanto spesso il riconoscimento formale non segua il vero valore del lavoro.Accanto a lei c’è suo marito, compagno di vita e di passioni, che la supporta nella gestione economica familiare. Insieme condividono l’amore per la vela e lo sci, e con lui, Anna ha imparato che il denaro non è solo un fine, ma uno strumento per coltivare i propri desideri fuori dalla sfera lavorativa. 
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    14:29

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Su Rame

Rame è la serie podcast di una community che vuole sfatare il tabù dei soldi. Nasce all'interno di una piattaforma (www.rameplatform.com) che attraverso i suoi contenuti si pone l’obiettivo di avviare una rivoluzione culturale nella società, che trasformi la finanza personale in un argomento di conversazioni audaci e liberatorie. Annalisa Monfreda, ogni settimana, dialoga con un ospite diverso seguendo il filo della sua storia economica. Parlare di soldi può essere intimo e coinvolgente, rivelatorio ed eccitante. E si finisce sempre per svelare chi siamo e ciò in cui crediamo.
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