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  • Re Mentone dei fratelli Grimm
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8136RE MENTONE DEI FRATELLI GRIMM FA CAPIRE CHE NON PUOI RIFUGIARTI NEL TUO MONDO, PERCHE' IL MONDO E' UNO SOLO Il cattolico Tolkien, famoso autore della trilogia de Il Signore degli anelli, scrive nel suo Le fiabe: "Il compositore della fiaba si dimostra un sub-creatore riuscito. Egli costruisce un Mondo Secondario in cui la nostra mente può introdursi. In esso, ciò che egli riferisce è vero: in quanto in accordo con le leggi del mondo". Tolkien ha ragione. La fantasia non è surrealismo. Questo nasce dalla pretesa folle di riscrivere il reale, rifiutandone le sue costitutive leggi. La fantasia, invece, è passione per il vero e per il reale. È una passione di tale portata che arriva ad offrire di questo vero e di questa realtà una chiave di lettura che possa meglio evidenziarne il mistero. Quale mistero? Il miracolo che rende la realtà un codice con cui cogliere la presenza continua di Dio e la bellezza della sua Verità. Ecco dunque che si può fare apologetica anche attraverso le fiabe.RE MENTONE (FRATELLI GRIMM)C'era una volta un Re che aveva una figlia immensamente bella, ma allo stesso tempo così superba ed arrogante che nessun pretendente le andava bene. Prima li sbeffeggiava, infine li scartava miseramente.Una volta il Re diede una grande festa alla quale furono invitati pretendenti da ogni dove. Li fece mettere tutti in fila, e in ordine di rango: prima i sovrani, poi i granduchi, dopo i principi, poi i conti, poi i baroni, infine gli aristocratici; uno per uno, furono presentati alla principessa, ma ella trovò in ognuno di loro qualcosa da obiettare. Qualcuno era troppo grasso: "Assomiglia tanto a una botticella" disse; un altro era troppo alto: "alto e smilzo, sembra un manico di scopa". Naturalmente, il terzo era troppo basso: "basso come un tappo e pure tracagnotto". Il quarto era per lei troppo pallido: "smunto come la morte". Il quinto era troppo rosso: "gallo da primo premio." Mentre il sesto era addirittura troppo poco dritto: "Legna verde fa fumo nel camino".E così via; furono ridicolizzati e bocciati tutti senza appello, in modo particolare un giovane e buon re che si trovava in prima fila, il cui mento era leggermente sporgente. "Ma guardatelo!" esclamò, ridendo, "ha un mento che sembra il becco di un tordo!". E da quel momento lo battezzò «Re Mentone». A quel punto, il vecchio Re, stufo di vedere la figlia che non faceva altro che schernire la gente e offendere tutti i pretendenti alla sua mano, andò su tutte le furie e le giurò che il primo straccione che avesse varcato la soglia del palazzo, l'avrebbe avuta in moglie.Qualche giorno dopo giunse sotto le finestre del palazzo un suonatore ambulante venuto da chissà dove per guadagnare qualche soldo. Il Re se ne accorse e lo fece salire, e così, il vecchio cantore, vestito di stracci lerci e consunti, fu ammesso a cantare per il Re e la Principessa; a fine esibizione domandò una piccola offerta, e il Re, disse: "La tua canzone mi è piaciuta tanto, che voglio concederti la mano di mia figlia". A quelle parole la principessa inorridì, ma il Re disse: "Ho giurato che ti avrei fatta sposare al primo mendicante che si fosse presentato, e intendo mantenere la parola". La fanciulla protestò, ma inutilmente: il Re convocò immediatamente un sacerdote ed ella fu unita in matrimonio al menestrello in seduta stante.Ma non basta: appena le nozze furono celebrate, il Re disse: "Non sta bene che la moglie di un mendicante soggiorni nel mio palazzo. Ti invito, quindi, ad andartene via subito con tuo marito". Il mendicante prese sua moglie per mano, ed ella dovette andar via con lui, a piedi; arrivarono a una grande foresta, ed ella chiese al marito: "A chi appartiene questo bel bosco?". "è di Re Mentone. Se l'avessi sposato, oggi tutto questo sarebbe tuo." "Oh, me misera! Se solo avessi accettato di sposare Re Mentone..." Dopo un po', attraversarono una prateria, ed ella chiese ancora: "Di chi è questa bella e verde prateria?" "Appartiene a Re Mentone. Se tu l'avessi accettato come marito, oggi sarebbe tua". "Oh, me misera! Se solo avessi accettato di sposare Re Mentone..." "Senti, non mi va che tu stia sempre a lagnarti che hai sposato me e non un altro" disse il menestrello, "non ti vado bene, io?".Finalmente giunsero a una misera capanna, e la moglie chiese al marito: "Oh, buon Dio... com'è minuscola questa casa... a chi appartiene questo misero tugurio?" Il vecchio rispose: "A me. Questa è casa mia, e da oggi è anche la tua. Ci vivremo insieme." Tanto era basso l'ingresso, che la ragazza dovette chinarsi per entrare. "Dov'è la servitù?" chiese al marito. "Quale servitù?" rispose il mendicante, "d'ora in poi dovrai arrangiarti da sola. Su, forza, adesso: accendi subito il fuoco e metti a bollire dell'acqua, e preparami qualcosa da mangiare, che sono molto stanco." Ma la principessa non ne sapeva nulla di come si accende un fuoco e di come si cucina, e quindi il mendicante dovette aiutarla a fare tutto, poiché lei non sapeva fare niente. Quando ebbero finito di consumare il loro misero pasto se ne andarono a letto, e la mattina dopo la fece alzare di buon'ora per fare i mestieri di casa.Per alcuni giorni, i due poterono tiare avanti così, come potevano, ma ben presto esaurirono le poche provviste. Il vecchio mendicante disse allora alla moglie: "Moglie, se vogliamo continuare a mangiare e a bere, dobbiamo guadagnare dei soldi. Da oggi intreccerai dei cesti." E andò fuori a tagliare dei salici, e li portò in casa; cominciò allora ad intrecciare, mai giunchi duri le rovinavano le mani delicate. "Vedo che non fa per te" disse il menestrello. "Forse è meglio che provi a filare: magari ti riesce meglio." La fanciulla sedette all'arcolaio e cominciò a filare, ma il filo duro e grezzo le tagliava le dita delicate fino a fargliele sanguinare. "Povero me! Sei proprio una buona a nulla! Non ho fatto un grande affare con te. Proverò ad intraprendere un commercio di vasi di terracotta. Tu dovrai solo portarli al mercato e venderli." Ed ella pensò, ' Oh, me misera! Se dovessero vedermi i servi di mio padre, si prenderebbero gioco di me.. una principessa che vende terraglia all'angolo di una strada!" Protestò, invano, e alla fine dovette fare come il marito ordinava, se non voleva morir di fame.All'inizio andò tutto bene; la gente comprava volentieri da lei perché era una bella donna, e pagava senza lamentarsi: c'era persino chi le regalava il denaro senza portarsi via la merce, e con il ricavato di quelle vendite tirarono a campare, fino a quando i soldi finirono, e il marito dovette acquistare altra terracotta; la principessa si mise all'angolo del mercato ed espose la merce, ma improvvisamente un ussaro ubriaco galoppò proprio in mezzo alle terraglie, frantumandole in mille pezzi. La poveretta si mise a piangere, e si disperò tanto che non sapeva più che cosa fare. "Oh, buon Dio! Che ne sarà di me? Che cosa dirà, adesso, mio marito?" Corse a casa a raccontargli la disgrazia. "Chi è così sciocco da piazzarsi sull'angolo della strada con tutta la merce?" disse il marito. "È palese che non sei capace di lavorare, comunque, adesso smettila di piangere e ascoltami: oggi sono capitato per caso al palazzo del re, e ho chiesto se per caso avessero bisogno di una lavapiatti; mi hanno promesso di prenderti: in cambio avrai vitto gratuito." Così, la figlia del re diventò una sguattera; dovette dare una mano a cucinare e da quel momento tutti i lavori più pesanti toccarono a lei. S'allacciò una brocchetta alle tasche, e lì nascondeva gli avanzi di cibo da portare a casa, e vissero di quello.Accadde poi un giorno che furono annunciate le nozze del figlio minore del re, e la poveretta andò a sbirciare attraverso la porta del salone. Quando furono accese tutte le luci e vide la sala addobbata in pompa magna per l'avvenimento, nel vedere sfilare una ad una donne bellissime, vestite da gran dame, pensò allora alla sua scarna condizione con il cuore gonfio di tristezza, e in quel mentre maledì l'orgoglio e la boria che l'avevano condannata a tanta miseria. Un odorino prelibato usciva dalle pietanze luculliane che passavano in rassegna, stuzzicando le sue narici; di tanto in tanto qualche cameriere le lanciava un boccone, che prontamente acchiappava per infilarlo nella brocchetta per portarselo a casa.Improvvisamente il promesso sposo varcò la soglia, indossando abiti eleganti di seta e velluto, portando al collo tante catenine d'oro; quando vide quella bella donna che stava ferma davanti alla porta, la prese per mano e la invitò a ballare, ma ella rifiutò, spaventata, poiché vide che era Re Mentone, il pretendente che aveva respinto e deriso. Cercò di divincolarsi, ma lui la spinse nel salone, ed ecco che la cintura che le teneva allacciata la brocca alla vita, si slacciò, finendo per rovesciarsi in terra con tutto il suo contenuto: la minestra colava e gli avanzi si sparsero dappertutto. A quella scena, gli ospiti risero e si presero gioco di lei, e lei si sentì sprofondare dalla vergogna. Con un balzo raggiunse la porta, decisa a fuggire, ma un uomo l'afferrò per un braccio e la ricondusse nella sala, e quand'ella volse lo sguardo vide che era ancora Re Mentone, che le disse affettuosamente: "Non avere paura. Sono io il povero menestrello che ha vissuto con te nella miserabile capanna nel bosco. Mi sono travestito per amor tuo, e fui ancora io l'ussaro che quel giorno ti distrusse tutti i vasi di terracotta. Ho fatto tutto questo per domare il tuo orgoglio e per punirti dell'arroganza con la quale mi avevi trattato." La principessa pianse amaramente e disse
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    15:54
  • La vera differenza tra psicologo e confessore
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8062LA VERA DIFFERENZA TRA PSICOLOGO E CONFESSORE di Mauro Piacenza È fuori dubbio che, nel recente passato, si sia vista un'esplosione del ricorso alla psicologia - e segnatamente all'aiuto degli psicologi - in tutto l'Occidente. Le vicende storiche della pandemia e dell'esplosione clamorosa e, in parte, inattesa dei conflitti bellici hanno, se possibile, ulteriormente aggravato la situazione, al punto da indurre non pochi Governi a offrire ai cittadini un "bonus psicologo" per poter così ricevere l'aiuto di specialisti capaci di ascoltare e di dare un nome al diffuso disagio delle persone.Si potrebbe quasi dire che lo psicologo sta all'epoca moderna come il confessore stava all'epoca cristiana! Ma è davvero così? È sufficiente il ricorso allo psicologo per "risolvere" il problema umano? Colloquio con lo psicologo e dialogo della Confessione si equivalgono?La risposta a queste domande è, senza ombra di dubbio, negativa. Pur riconoscendo il legittimo valore della scienza umana detta "psicologia", è evidente come essa non possa, in alcun caso, essere confusa con il sacramento della Riconciliazione. I due "dialoghi"-  quello con lo psicologo e quello con il confessore - possono avere alcune analogie, che proveremo a indicare, ma hanno certamente radici diverse e, soprattutto, esiti differenti.UN GRANDE PARADOSSOIl grande teologo ambrosiano, prematuramente scomparso, Giovanni Moioli, nel suo saggio Il quarto sacramento (Ed. Glossa), descriveva la Riconciliazione come il «sacramento difficile», proprio per l'esigenza imprescindibile del dialogo verace, intimo e personale tra penitente e confessore, necessario perché ci sia la materia prossima del sacramento e perché esso sia valido.È fuori dubbio che l'apparente sostituzione della Riconciliazione sacramentale con il dialogo terapeutico affondi le proprie radici nella diffusa secolarizzazione del mondo occidentale; secolarizzazione che - è quasi un paradosso! - è anche la causa di tanto disagio sociale e personale dell'uomo contemporaneo.In un contesto culturale nel quale Dio è espulso dalla storia o dalla società e, nel migliore dei casi, è relegato al sentimento soggettivo, la risposta alle domande fondamentali dell'esistenza diviene per lo meno ardua, se non impossibile. Se Dio non c'è, l'uomo si riduce a essere l'esito dei propri antecedenti biologici, materia un po' più sviluppata del resto della natura, ma nulla di più, solo materia. Nel contempo, anche la dimensione teleologica, la dimensione del fine della vita e del senso delle azioni umane, perde il proprio significato. Da questo contesto generale è solo possibile immaginare quale mole di frustrazione, anche psicologica, possa derivare, poiché tutte le azioni umane, anche le più nobili e alte, perdono di significato o, nel migliore dei casi, gratificano l'ego, in un cortocircuito nel quale la domanda mai sopita del cuore umano cerca sempre nuove gratificazioni e mai da nulla si ritiene appagata.UNA SOFFERENZA SVUOTATASe a questo si somma la quasi totale censura di un possibile senso della sofferenza umana e della morte, il quadro appare drammaticamente completo. Se la sofferenza umana non ha senso, allora essa è da evitare accuratamente, senza eccezioni, a qualunque livello della coscienza e in qualunque stagione della vita. La contraddizione deflagrante è, tuttavia, che la sofferenza esiste e, semplicemente, non può essere evitata! Da qui l'ulteriore profonda frustrazione di una vita necessariamente frammista anche a momenti di sofferenza, che paiono non avere significato, inficiando così il senso stesso dell'intera esistenza. Al vertice di tale crisi di senso si pone, ovviamente, il mistero della morte, il quale, in un contesto radicalmente secolarizzato, viene sistematicamente censurato e, perfino, de-ritualizzato (basti pensare a tutte le agenzie laiche che si occupano di riti esequiali e, soprattutto, di cremazione), impedendo così quella ordinata e psicologicamente sana elaborazione del lutto, della quale la ritualizzazione è momento essenziale.LA CONFESSIONE È LUOGO DELLA RISPOSTAIl sacramento della Riconciliazione, invece, si celebra non solo in un orizzonte valoriale, nel quale è riconosciuta l'esistenza di un Dio personale, creatore e provvidente, di un Dio Padre capace di un sempre continuo perdono nei confronti dei Suoi figli, ma anche nell'accoglienza del mistero dell'Incarnazione, per il quale il potere di Dio di perdonare i peccati, in Gesù di Nazareth, Signore e Cristo, è sceso sulla terra («Perché crediate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati...», Mt 9,6; Mc 2,10; Lc 5,24).Il sacramento della Riconciliazione, dunque, è da comprendere e celebrare in un orizzonte soprannaturale, che certamente abbraccia tutte le istanze naturali presenti nell'umana esistenza, ma le supera e le risolve come nessun psicologo potrà mai fare. La fede esplicita in Dio - e non in un "dio" generico a cui tutti possono indifferentemente fare rifermento, ma nel "Dio di Gesù Cristo", nel Dio-Amore trinitario, capace non solo di incarnarsi, assumendo un'integra natura umana, ma addirittura di scegliere di morire per amore della Sua creatura e per salvarla dal limite e dal peccato - diviene risposta piena di senso sull'origine e sul fine dell'umana esistenza, donando uno straordinario, eterno valore alla libertà umana e alle azioni che con essa, illuminata dall'intelligenza e sostenuta dalla volontà, l'uomo compie.Nulla è più liberante della fede in Gesù Cristo e del riconoscimento umile e grato del Dio-Amore dal quale tutti gli uomini provengono e al quale sono chiamati a rispondere, anche con le proprie croci.L'elemento "difficile" della sofferenza umana trova, non nello sterile ego soggettivo, ma nell'infinito oceano dell'Amore divino, un'unica possibile risposta; il mistero di un Dio-Amore, incarnato e crocifisso, di un Dio-Misericordia che continua a riversare, attraverso il sacramento della Riconciliazione, la sua Misericordia e il suo Amore sull'umanità, è l'unica reale risposta a ogni domanda che fiorisce dall'ineluttabile sofferenza umana, soprattutto quella innocente, e dall'inevitabile disagio che l'uomo prova di fronte a essa.L'amore della Croce è la risposta a ogni possibile sofferenza umana e, per quanto la scienza psicologica possa certamente, in alcuni casi, essere di grande aiuto, il migliore degli psicologi (se molto bravo) potrà individuare il problema, ma non lo risolverà e, soprattutto, non salverà l'umano. Gesù Cristo è, infatti, l'unico Salvatore.
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    7:22
  • L'abuso del ricorso al parto cesareo
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8043L'ABUSO DEL RICORSO AL PARTO CESAREO di Giano Colli In Italia, il parto cesareo è diventato una pratica comune, tanto da posizionare il nostro paese al primo posto nel mondo per percentuale di interventi chirurgici durante il parto. Secondo i dati, il 38% dei parti in Italia avviene tramite cesareo, una cifra ben al di sopra del 15% raccomandato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Questo dato, che ci pone davanti agli Stati Uniti (27%) e alla Germania (25%), solleva importanti interrogativi sul perché si ricorra così frequentemente a questa procedura e sulle sue implicazioni a lungo termine.Il parto cesareo è un intervento chirurgico fondamentale in situazioni di emergenza o quando il parto naturale comporta rischi significativi per la madre o il bambino. Tuttavia, l'OMS scoraggia un uso eccessivo e potenzialmente non necessario della procedura. In Italia, i numeri suggeriscono che spesso il cesareo non viene scelto per necessità reali, ma per altri motivi.Uno dei principali fattori che spingono molte donne italiane a optare per il cesareo è la paura del dolore durante il parto naturale. Il parto è indubbiamente un'esperienza intensa, ma è anche un processo naturale che il corpo femminile è biologicamente predisposto a sostenere. Tuttavia il fatto che la gravidanza sia trattata da personale medico come fosse una malattia contribuisce ad alimentare ansie che potrebbero essere gestite con maggiore tranquillità.Inoltre il cesareo viene percepito come una scelta più "sicura" o addirittura più comoda, sia dai medici sia dalle mamme. In alcuni casi, l'idea di poter "programmare" il parto con una data certa spinge verso questa decisione. Il parto naturale richiede un'assistenza più prolungata e attenta rispetto a un cesareo programmato, portando alcuni ospedali a preferire quest'ultimo per ragioni organizzative. Ma imporre al bambino quando uscire dal grembo materno è una forzatura visto che da sempre i bambini sanno quando è il momento giusto. Siamo noi che dobbiamo adattarci a loro, non il contrario.Infine non bisogna dimenticare che il cesareo è una procedura sicura, ma non è privo di rischi. Gli interventi chirurgici comportano tempi di recupero più lunghi, un maggiore rischio di infezioni e complicazioni future, come difficoltà nelle gravidanze successive. Per i neonati, il parto naturale offre benefici importanti, come un maggiore supporto al sistema immunitario grazie al passaggio nel canale del parto.Oggi si dimentica che il parto è un evento naturale che da millenni accompagna l'umanità. Negli ultimi decenni, la tecnologia ha migliorato la sicurezza del parto e questo è un bene, ma ha anche contribuito a distanziarci da questa esperienza come parte normale della vita. L'ospedalizzazione dell'inizio come anche della fine della vita ha contribuito a rendere meno umano sia il venire al mondo che l'ultima fase dell'esistenza. Per quanto riguarda il parto naturale è fondamentale che le mamme lo affrontino senza paure eccessive visto che, ripetiamo ancora una volta, partorire è la cosa più naturale al mondo. Per tutto quanto detto non bisogna nemmeno dimenticare che ci sono oggi in Italia mamme che preferiscono partorire a casa con l'aiuto di una ostetrica. Questa possibilità non va scartata a priori soprattutto da parte di chi abita a distanza di un quarto d'ora, mezz'ora al massimo, da una struttura ospedaliera a cui ricorrere solo in caso di pericolo di vita della madre o del bambino.La posizione dell’Italia come leader mondiale nei parti cesarei evidenzia la necessità di un cambiamento di mentalità. Il parto, sebbene doloroso e impegnativo, può essere affrontato con serenità soprattutto se si riceve il giusto supporto dai familiari e dal personale medico. Ridurre il tasso di cesarei non significa negare l’accesso a questa procedura quando necessaria, ma promuovere un approccio più consapevole alla nascita, che valorizzi la salute della madre e del bambino.Per i cristiani, infine, il parto è un momento speciale che si intreccia con il mistero della vita e della fede. Affrontare questa esperienza affidandosi alla Provvidenza e alla protezione della Madre di Dio offre forza e serenità. Maria, che ha vissuto l’esperienza della maternità con umiltà e coraggio, è un esempio potente per le donne che si preparano a diventare madri. Accettare il parto naturale come parte del disegno divino significa riconoscere la bellezza e la sacralità di questo evento, confidando in Dio che sostiene ogni madre nel dono della vita.
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    5:55
  • I rischi e l'inganno della psicanalisi
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8042I RISCHI E L'INGANNO DELLA PSICANALISI di Benoît-Marie Simon Recentemente, di fronte a un gruppo di persone, un padre di famiglia giustificava il comportamento aggressivo del figlio, che picchiava i compagni di scuola, con la scusa che quest'ultimo non sapeva come incanalare il suo eccesso di energia. Ebbene, nessuno ha reagito! Segno di una tendenza generale a scusare a ogni costo ciò che una volta si chiamava cattiveria, cioè peccato. Sarebbe disonesto vedere in questo cambiamento di mentalità la semplice reazione a un presunto rifiuto di prendere in considerazione i condizionamenti che sminuiscono la nostra libertà. Da tempo, i manuali di morale hanno moltiplicato le distinzioni a questo riguardo. Detto ciò, la tentazione di non rispettare tutta la complessità delle situazioni umane esisterà sempre, ma per combatterla non è necessario sbarazzarsi di una saggezza che si basa su principi veri e onora la dignità umana fino al punto di riconoscere all'uomo la capacità di scegliere il male.Gesù, è vero, ci ammonisce di non giudicare, perché solo Dio legge nel segreto dei cuori. Ma questo non significa che si debba assolvere tutti. Non confondiamo il determinare fin dove una persona è colpevole e il giudicare che un determinato atto è oggettivamente un peccato.In questo senso il Vangelo ci esorta a correggere il fratello che pecca. E non confondiamo neppure il non condannare con l'assolvere. Insomma, non abbiamo l'autorità e la scienza necessarie né per condannare né per sentenziare che qualcuno non è colpevole. Eppure la psicanalisi decreta che le nostre scelte profonde sono frutto di meccanismi inconsci indipendenti dalla nostra volontà. E lo fa in nome di una teoria che non ammette contestazioni; ogni obiezione sarebbe, in realtà, una "resistenza" che conferma la validità della diagnosi. Non c'è via di scampo: il paziente deve convincersi che il terapeuta conosce meglio di lui il motivo delle sue scelte, sempre che non ne riscriva la storia. Insomma, le categorie della psicanalisi permettono di ignorare gli argomenti razionali di un contraddittore, anzi consentono di non prendere in considerazione ciò che dice.LIBERI DAVVEROCome spiegare il dominio quasi incontrastato di una teoria così opposta al buon senso? Di sicuro non sarebbe possibile se non fossimo così allergici a riconoscerci peccatori. Quando siamo fieri di ciò che abbiamo fatto, la nostra responsabilità ci esalta, ma quando ci sentiamo in colpa, ci pesa. Allora se una teoria "scientifica" pretende di liberarci da questi sensi di colpa, siamo pronti ad accettarla in modo acritico, anche se nega la trascendenza dello spirito sulla materia. Ebbene, solo lo spirito scopre ciò che è vero e buono in sé, mentre la sensibilità è strutturalmente interessata al proprio benessere materiale. In un caso, la vita è un susseguirsi di piaceri passeggeri; nell'altro, si cerca la vera felicità, cioè il bene che dà un senso assoluto alla nostra vita. Ecco perché i doveri morali che la nostra coscienza ci ricorda non ammettono eccezioni. Pertanto, obbedire alla propria coscienza è necessariamente un atto spirituale che non ha niente a che vedere con processifisici deterministici, come vorrebbe far credere la psicanalisi. In questo senso, trovare la felicità dipende dalle nostre scelte profonde, le quali non sono mai la semplice risultanza delle condizioni materiali nelle quali ci troviamo e che spesso subiamo. Infatti, si può essere ricchi e infelici, poveri ma in una pace profonda. Ma, secondo la psicanalisi, bisogna rinunciare definitivamente all'idea di poter raggiungere una pace vera e accontentarsi, invece, di compromessi instabili tra forze contrastanti. In fin dei conti rifiutando di chiamare peccato ciò che lo è, si incoraggia il peccatore a rimanere nel suo stato, mentre combattendo potrebbe, con l'aiuto degli altri e soprattutto di Dio, vincerlo. Con la conseguenza che le nostre società diventano sempre più violente.PECCATO E MISERICORDIAC'è da stupirsi che un'intelligenza sana possa cadere in una tale assurdità, ma risulta davvero incredibile che ci caschi un cristiano. Come potrebbe Cristo rivolgere ai farisei le accuse durissime che leggiamo nel Vangelo, se non fossero colpevoli? Sarebbe assurdo e mostruosamente ingiusto. La Buona Novella è un invito a seguire Gesù Cristo rivolto alla nostra libertà. E alla fine della nostra vita verremo giudicati da Dio. Cosa scandalosa, se non siamo liberi. Impossibile, quindi, negare la realtà del peccato, anche perché è il corollario della preziosità dell'atto nel quale un cuore si dona liberamente, coscientemente e per sempre nell'amore. Sminuire la libertà e la gravità del peccato conduce inevitabilmente a eliminare la possibilità di un tale amore. Non c'è da stupirsi, per esempio, che la nozione di fedeltà, che pure è legata alla verità dell'amore, sia in crisi profonda. Rimane il problema di distinguere il pentimento liberatore dal senso di colpa paralizzante. Così come non si possono non stigmatizzare i danni provocati da certe immagini di un Dio giudice implacabile. Ma, ancora una volta, basta correggere queste rappresentazioni, mentre di sicuro nascondere la colpevolezza quando c'è non apre alla pace vera. Sforzarsi di dimenticare ciò che non si può negare produce, che lo vogliamo o no, la paura e il rimorso che avvelenano la vita. E poi cosa succederà il giorno in cui non sarà più possibile guardare altrove? In verità, solo il perdono offerto dal Signore ci libera da questo peso. Si pensi allo stupore del figliol prodigo nella parabola evangelica quando scopre il modo in cui il Padre l'accoglie allorché riconosce di avere peccato contro di lui! Questo perdono fa nuove tutte le cose - perché Dio è creatore - ma senza nascondere niente. Si sperimenta allora come la verità libera, mentre le cose non chiarite e non accettate imprigionano l'anima.Ora, se il figliol prodigo si fosse lasciato convincere dalla psicanalisi, non si sarebbe mai inginocchiato di fronte a suo Padre chiedendogli perdono e non avrebbe scoperto la potenza di risurrezione della sua misericordia.SVELARE I PRINCIPINonostante questo e i numerosissimi gravi danni occasionati dalla psicanalisi ampiamente documentati: suicidi, vite distrutte, guarigioni illusorie, eccetera, non la si rimette seriamente in discussione; tutt'al più si cerca di correggerla, come se fosse possibile correggere questa teoria senza rimettere in discussione i principi sui quali si fonda. Dire questo non significa, beninteso, ignorare le problematiche che essa ha messo in evidenza, ma occorre interpretarle in una luce diversa.Sembra davvero che si aderisca alla psicanalisi in modo cieco, quasi religioso, come ci si lascia accecare da una ideologia. Gli psicanalisti si difendono sostenendo che la loro è una scienza, e quindi un sapere oggettivo e indiscutibile, mentre la filosofia e la religione che difendono la libertà sarebbero semplici opinioni. In queste condizioni non basta denunciare gli effetti disastrosi della psicanalisi per liberarci dal suo giogo e per smascherare l'illusione che, così come è concepita, possa essere utilizzata come mezzo terapeutico ignorando la teoria che sta dietro.È necessario mostrare che si basa su principi falsi - dal momento che, per esempio, confonde uno slancio affettivo con una pulsione, cioè un mero fenomeno fisico o organico - e che, in ogni caso, non è e non può essere una scienza. È questo un esame filosofico e teologico, inevitabilmente austero, che ho sviluppato nel modo più approfondito e rigoroso possibile nel mio libro: La psicoanalisi al vaglio della filosofia e della teologia.
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    10:59
  • La domenica il lavoro e lo svago
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8033LA DOMENICA, IL LAVORO E LO SVAGO di Don Stefano Bimbi Sono una mamma e ho una domanda che vorrei rivolgere a don Stefano Bimbi.Prendo spunto da un fatto accaduto in famiglia per chiedere alcuni chiarimenti relativi al rispetto del terzo comandamento: «Ricordati di santificare le feste».Mia figlia è andata di domenica con le amiche a un fast food e al cinema, con grande stupore della sorella perché io di solito non permetto a nessuno di entrare in un qualunque negozio la domenica. In realtà io non ho fatto mente locale, ho solo pensato di chiederle di organizzarsi per non saltare Messa e ho acconsentito all’uscita domenicale, purché studiasse il sabato e si riposasse la domenica.Solo dopo mi è tornata in mente l’immagine della Madonna di La Salette, che si lamentava per come veniva disatteso (già allora, figurarsi oggi) il terzo comandamento. Mi chiedo quindi, in generale, come ci si debba regolare: io sono dell’idea che se nessuno andasse nei locali, centri commerciali, eccetera, la domenica, nel giro di poco nessuno sarebbe costretto a lavorare la domenica, potendo quindi riposare e stare con la famiglia.Ma l’aver dato a mia figlia questa concessione, mi ha fatto compiere peccato grave? Quali sono i limiti dentro i quali possiamo muoverci?Voglio agire bene, in futuro, e soprattutto insegnare bene ai miei figli.Lettera firmata***RispostaInnanzitutto va detto che la Madonna a La Salette lamentava non solo che la gente lavorasse di domenica, ma soprattutto che non andasse a Messa. Ma se fosse venuto un temporale, sarebbe stato lecito per i contadini, che vivevano di quello che raccoglievano, portare a casa il foraggio tagliato perché non marcisse? Certamente sì.Per restare al suo esempio, occorre distinguere tra "fast food e cinema" e "supermercati e negozi". Nel secondo caso è bene starne alla larga, anche perché si può andare nei supermercati e negozi tutta la settimana, mentre la domenica va santificata, come dice il comandamento. Come santificarla? Con il riposo, lo stare in famiglia, l'approfondimento della Parola di Dio e della Dottrina della Chiesa, atti di carità, lo svago. Appunto per quest'ultimo punto si possono frequentare "fast food e cinema", ma anche vedere partite di calcio, fare visite nei musei, passeggiate con le amiche, ecc.Del resto l'astensione dal lavoro non è assoluta. Infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2185 dice: «Durante la domenica e gli altri giorni festivi di precetto, i fedeli si asterranno dal dedicarsi a lavori o attività che impediscano il culto dovuto a Dio, la letizia propria del giorno del Signore, la pratica delle opere di misericordia e la necessaria distensione della mente e del corpo. Le necessità familiari o una grande utilità sociale costituiscono giustificazioni legittime di fronte al precetto del riposo domenicale. [...]».È necessario quindi che lavorino i poliziotti (altrimenti la domenica sarebbe il giorno della delinquenza libera), gli infermieri (per assistere i pazienti negli ospedali), i medici (per operazioni non rimandabili, tipo trasfusioni di chi sta per morire dissanguato, operazione al cuore di chi ha un infarto, ecc.) e tutti quelli che devono garantire dei servizi ai cittadini, come i trasporti in treno, in autobus, taxi. Ma anche chi opera nel settore divertimento e svago può esercitare la sua professione di domenica: calciatori, ristoratori, ecc.In questo senso il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2187 afferma, tra l'altro: «[...] Ogni cristiano deve evitare di imporre, senza necessità, ad altri ciò che impedirebbe loro di osservare il giorno del Signore. Quando i costumi (sport, ristoranti, ecc.) e le necessità sociali (servizi pubblici, ecc.) richiedono a certuni un lavoro domenicale, ognuno si senta responsabile di riservarsi un tempo sufficiente di libertà. [...]». Come si vede, la Chiesa prevede che i ristoranti possano rimanere aperti. E questo proprio per un servizio sociale. Basti pensare a chi volesse festeggiare un Battesimo, la prima Comunione, il matrimonio, ma anche il semplice stare insieme tra parenti e amici.Ultima precisazione: le attività di svago come cinema, partite di calcio, musei si fanno nel giorno che siamo liberi dal lavoro perché c'è più tempo. Infatti, mentre l'acquisto di vestiti o cibo, eccetera, sono necessità da poter fare tutti i giorni, lo svago (ristorante, musei, sport, cinema, ecc.) non è una necessità, quindi va bene averlo la domenica quando si è liberi dal lavoro.Ci sarebbe molto da aggiungere, ma spero di aver dato una risposta sintetica e chiara.Per approfondimenti, si può leggere la lettera apostolica Dies Domini di Giovanni Paolo II.
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