Un regno in Patagonia - Storia di Casimiro Ferrari
Storia di Casimiro Ferrari, l'alpinista simbolo dei Ragni di Lecco, che, per oltre due decenni, ha guidato i compagni alla conquista delle più terribili vette dell'estremo sud della Cordillera andina: giganteschi monoliti di roccia corazzati di ghiaccio verticale, perennemente tormentati dalla tempestaCasimiro Ferrari, il "Miro" come tutti lo chiamavano a Lecco, piccolo di statura e, in gioventù, persino un po' cicciottello, non aveva certo il fisico dell'eroe e neppure dell'alpinista.Poi era cattivo il Miro. Aveva un carattere orribile, soggetto ad attacchi incontenibili d'ira, che mettevano in soggezione anche i compagni più duri, gente abituata a trovarsi faccia a faccia con la furia degli elementi e lo spettro della morte."Era proprio come la Patagonia - ricorda uno dei suoi compagni di scalata - quando era arrabbiato ti faceva tremare di paura, ma quando si rasserenava era capace di farti vedere orizzonti meravigliosi...".Forse era proprio scritto nel destino. Il piccolo Casimiro per diventare grande, doveva andare proprio lì, fra le montagne che si innalzano alla fine del Mondo, terribili e volubili come lui. Era destino che fosse lui l'ultimo Re della Patagonia.Su quelle vette impossibili la sua rabbia si trasformava in gioia e arte. Nel mezzo della tempesta e su quel ghiaccio - che ghiaccio non è, ma una sorta di granita instabile pronta a crollare sotto il peso dello scalatore - là dove gli altri tornavano indietro con la coda fra le gambe, il Miro andava avanti, inventandosi virtuosismi che "non si trovano sui manuali di scalata".Con questo spirito e questa volontà Casimiro è diventato per tutti gli innamorati della Patagonia "El Hefe", il Capo, l'uomo che ha portato il nome dei Ragni di Lecco nel gotha dell'alpinismo mondiale, guidando ascensioni che hanno fatto la storia, come la prima salita della parete Ovest del Cerro Torre (1974), che molti considerano ancora oggi la più bella via di ghiaccio del mondo, la Est del Fitz Roy (1976), un gigantesco pilastro di 1600 metri di granito, o lo spigolo del remoto Cerro Murallon (1984).Ma non è stato lui a conquistare la Patagonia, bensì il contrario. Al di là delle montagne, al dì là della gloria, il Miro in quelle terre desolate, cosi distanti dal resto del mondo, ha trovato ciò che forse più cercava: lo spazio, uno spazio grande abbastanza perché la sua rabbia incontenibile potesse correre e poi disperdersi e placarsi, come le folate del Re Azul, il vento dell'ovest, che, dopo la tempesta, fa scintillare gli orizzonti della Patagonia in quella luce che solo lì si può trovare.