In ambito elettronico e sperimentale, la risata ha un posto importante nella storia della musica elettronica in Italia. In questa puntata parleremo dello Studio di Fonologia – primo studio italiano di musica elettronica, fondato nel 1955 nella sede Rai di Corso Sempione a Milano, e dedito allo studio della manipolazione elettronica del linguaggio e della voce. Nella storia dello Studio di Fonologia, la risata emerge al termine di una fase di ricerca del limite tra voce umana e macchina, tra linguaggio parlato e puro suono, e tra voce “naturale” e voce riprodotta artificialmente. Lo storico della musica Luigi Rognoni racconta che fu lui a suggerire il titolo “Le rire” a Maderna: “gli dissi che mi sembrava una dimostrazione di ciò che Henri Bergson aveva detto del riso: ‘quelque chose de mécanique plaquée sur du vivant.’ Un qualcosa di meccanico incrostato su ciò che è vivo. Articolare e disarticolare il parlato, ripetere, copiare, riprodurre e proliferare il suono: questo è il mondo della risata. Non è un caso, in effetti, che la risata dello Studio di Fonologia sia una risata di tessitura prettamente femminile – ossia una voce di registro acuto – invece che maschile. Spesso questa risata viene associata direttamente a Cathy Berberian, forse la più grande soprano del modernismo musicale europeo, e in quel periodo compagna e collaboratrice di Luciano Berio e dello Studio di Fonologia tutto. Il musicologo inglese David Osmond-Smith chiamò Berberian “il decimo oscillatore dello studio di Fonologia”, riferendosi alle nove macchine (oscillatori) che producevano, allo Studio, suoni sinusoidali da registrare su nastro per poi essere elaborati attraverso varie tecniche di playback e montaggio. E sarà, per molti versi, Berberian, nel suo ruolo sia di cantante che di compositrice, arrangiatrice e performer a tutto tondo, non solo l’origine, ma la vera erede di questa sperimentazione con la voce.
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43:30
Le fou rire – con Emilio Sala
Francia: seconda metà dell’ottocento-inizio novecento. Nel contesto dei café chantants, emergono sottogeneri musicali incentrati sulla convulsione, sul tic, sulla risata come reazione fisiologica al solletico. Si affianca alla tradizione delle risate isteriche o sragionanti una schiera di cantanti determinate a “godersi i propri sintomi” (specie se il sintomo è la ridarella). Giocano, queste artiste, con gli elementi erotici del convulsivo, della perdita di controllo, dello scoppio della risata; da Anne Judic a Madame Rollini entreremo, con Emilio Sala, nel merito di vari giochi teatrali ed erotici in cui il fou rire è un modo di alludere, per cantanti di genere sia maschile che femminile, a piaceri ineffabili e contagiosi, declinati via via per i mass media che emergono durante il corso del novecento: fonografo, radio, televisione.
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50:17
Risate nere su fonografo
Con l’arrivo del fonografo di Edison e della scoperta delle possibilità commerciali di tale invenzione, emergono generi di canzoni creati e adattati per la riproduzione sonora. Regina tra queste tipologie di canzoni è la laughing song americana, una canzone, spesso semplice e memorabile, in cui si ride a suon di musica, profondamente legata a dinamiche razziali dell’epoca della segregazione. La risata nera è, come vedremo negli esempi di George Washington Johnson, Jelly Roll Morton, e Bessie Smith, certamente intesa dagli ascoltatori bianchi dell’epoca anche come indice della mancanza di eloquenza delle persone razzializzate (che “ridono sempre” perché sono semplici e allegre, al contrario di chi le guarda). Ma è anche un qualcosa che si fonde con la tradizione afro-americana del signifyin’ (della quale scrisse lo studioso di letteratura Henry Louis Gates) del parlare in codice, del mascherarsi e difendersi dalla sopraffazione usando suoni, termini e canzoni che significano cose diverse a seconda di chi le ascolta. Il cilindro fonografico che viaggia lontano dal suo punto di origine – e viene ascoltato anche dall’altra parte del mondo – porterà queste risate nere a essere ascoltate e imitate in una miriade di modi diversi (a Napoli, in Inghilterra, in India) ogni volta generando nuovi significati politici a livello locale e globale.
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49:50
Strumenti che ridono
Gli strumenti ridono? Nella tradizione della musica letterata europea, la musica puramente strumentale diventerà, tra settecento e ottocento, una categoria protetta e iper-valorizzata della produzione culturale. In questo contesto, la risata scende dal palco ed entra, subdolamente, nella gestualità strumentale. Qui è difficile, salvo indicazioni specifiche, riconoscere risate intese propriamente in quanto tali, ma possiamo sforzarci di riconoscere il profilo ripetitivo, saltellante, gracchiante della risata in vari pezzi che spaziano da Haydn a Paganini, a Liszt, addirittura a Debussy che, strizzando l’occhio, ma senza dire una parola, prende in giro Wagner nel suo Children’s Corner per pianoforte solo.
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57:00
Isterie, umiliazioni, finzioni
L’opera ottocentesca ha il suo modo particolare di affrontare la risata, che riprende e sviluppa i temi del teatro d’opera settecentesco. Ci sono risate di gruppo che servono, come nel Freischütz di Weber e nel Falstaff di Verdi a umiliare chi (come Don Giovanni, ma con esiti ben diversi) “desidera” troppo. Sempre in Verdi, poi, si sente l’eredità di Mozart nel tema della maschera e della tensione tra sembianze e realtà e tra convenzione e desiderio, ora elaborati con sottotoni più cupi, anche quando, tecnicamente, si ride. La maschera continua anche a essere uno strumento di gioco e di potere, come nel Fledermaus di Strauss, in cui la serva Adele si maschera da nobildonna per andare a un ballo sfarzoso. Nell’ambito tardo ottocentesco del verismo e dell’operetta, l’idea dello sragionare ridendo è spinta a estremi tragicomici, specie nei personaggi femminili. L’isterica e la bambola meccanica diventano – da La Navarraise di Massenet all’Olympia dei Contes d’Hoffmann di Offenbach – due volti della stessa figura misogina della donna priva (per natura e/o circostanza) di ragione.
Questa è una breve storia delle risate in musica. Con questo intendiamo proprio il fenomeno delle risate (ah, ah, ah, ah!), non degli scherzi musicali o dell’umorismo. Il ridere è da sempre un qualcosa di ambiguamente umano, legato alla tecnica e all'intelligenza come alla follia e alla stupidità, al potere come alla disperata mancanza di potere, al trasporto erotico come al distacco razionale. In un tour de force di sei puntate, userò la storia della musica (dal 1560 al 1960 circa) come un archivio sonoro di rappresentazioni di risate, per interpretare poi volta per volta questo archivio in senso storico, filosofico, e politico.
Attraverso la musica, e da ben prima dell’invenzione del fonografo, possiamo infatti ascoltare la risata in tutta la sua infinita complessità narrativa, sonora, psicologica, e politica, dalla risata madrigalesca alla risata isterica operistica, dalla risata della maschera teatrale alla crudeltà dissacrante di folle impazzite e automatizzate. Si esplicitano e dipanano, attraverso questa cascata di voci sghignazzanti, rapporti di potere incentrati su genere, razza, specie e classe, in bilico tra il dire e non dire, tra il grido e il nodo in gola, tra il favellare umano e le espressioni di tutto ciò che - in un modo o nell’altro - escludiamo dalla categoria del propriamente umano.
Immagine: un particolare da The Laughing Audience di William Hogarth (1733), conservato al Metropolitan Art Museum di New York.
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