Powered by RND
PodcastReligione e spiritualitàOmelie - BastaBugie.it

Omelie - BastaBugie.it

BastaBugie
Omelie - BastaBugie.it
Ultimo episodio

Episodi disponibili

5 risultati 272
  • Omelia XXV Dom T. Ord. - Anno C (Lc 16,1-13)
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8252OMELIA XXV DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 16,1-13)Non potete servire Dio e la ricchezzadi Giacomo Biffi Questa che abbiamo ascoltato è senza dubbio la più sconcertante parabola del Signore. In essa Gesù prende a paragone un fatto che doveva essere molto frequente nel mondo antico, ma che, a giudicare da quel che spesso si legge sui giornali, non deve essere del tutto raro neppure nel mondo di oggi, che pure ha condizioni sociali ed economiche molto diverse.È il caso di un amministratore disonesto che si trova di fronte a un'improvvisa verifica del suo operato e quindi deve di punto in bianco fronteggiare la prospettiva della propria imminente rovina.La stranezza del racconto sta in questo, che il furfante (che se la cava imbrogliando una volta di più) viene lodato dal padrone e parrebbe addirittura proposto ai discepoli di Cristo come modello. Ma non dobbiamo dimenticare che qui si tratta di una parabola; e non tutti gli elementi di una parabola sono trasferibili nell'insegnamento, ma solo quelli che vengono intesi e indicati come tali. Nello stesso modo, ad esempio, quando Gesù, per descrivere la sua seconda venuta alla fine dei tempi, parla del ladro che viene a rubare di notte, vuole solo ricordare che il suo ritorno sarà una sorpresa, e non intende affatto, paragonando se stesso al ladro, esaltare il furto come un'azione lodevole.Qui è indubbio che il comportamento del protagonista della parabola è disapprovato, tanto è vero che viene chiamato esplicitamente "disonesto".Qual è allora l'aspetto del racconto che ci viene presentato come caricato di un insegnamento di vita? Mi pare che, senza forzature e senza acrobazie dialettiche, se ne possano trovare due. L'INVITO A FARE IL BENE CON LA STESSA "ASTUZIA" DI CHI FA IL MALE1. È in primo luogo l'abilità e la prontezza di riflessi con cui il furfante riesce a cavarsela dai suoi guai, tanto da strappare perfino l'ammirazione del derubato.Gesù fa un'osservazione che purtroppo ogni giorno è comprovata dall'esperienza: I figli di questo mondo... sono più scaltri dei figli della luce. È con questa frase implicitamente esprime anche il suo rammarico e il suo desiderio che i buoni diventino più svegli e più intraprendenti. Una delle disgrazie dell'umanità sta proprio qui: troppo spesso il male è fatto bene, con impegno, con intelligenza, con tenacia; e troppo spesso il bene è fatto male, senza passione, senza genialità, senza costanza, presentato in forme scolorite e prive di fascino.Con stupore e con meraviglia vediamo che i "figli della luce", cioè coloro che hanno gli occhi illuminati dalla fede e che, possedendo le verità che contano per l'esistenza, sanno dare il giusto valore alle cose e conoscono il senso e la fine della storia umana, sono più indecisi, fiacchi, incoerenti nell'agire. Mentre quelli che sciaguratamente si sono posti al servizio della menzogna e della ingiustizia sono di solito tanto abili e attivi.Non sta scritto da nessuna parte nel Vangelo che i buoni debbano essere sprovveduti, che i cristiani debbano essere degli incapaci, che i discepoli di Cristo debbano caritatevolmente aiutare gli avversari con la loro stupidità, facendosi incantare dai capziosi ragionamenti degli altri e mettendosi quasi al loro servizio per amore del dialogo, della comprensione,della mitezza o, più verosimilmente, del quieto vivere. Sta scritto precisamente il contrario, come appare dalla lettura di oggi. Confrontate col pensiero di Cristo, molte vicende della cristianità italiana di questi vent'anni trovano qui un giudizio severo.L'"ASTUZIA SPIRITUALE" DELLA GENEROSITÀ VERSO GLI ALTRI2. Il secondo insegnamento della parabola è di dirci che tutti noi siamo di fronte a Dio nella condizione dell'amministratore infedele. Anche noi abbiamo prevaricato; abbiamo abusato della fiducia del Creatore, che ci ha regalato la vita perché ne usassimo per la giustizia; siamo nei suoi confronti oberati da debiti spaventosi; il nostro stato è fallimentare.Ogni giorno che passa si avvicina il momento del rendiconto, quando tutte le nostre menzogne saranno scoperte e noi saremo nella situazione imbarazzante di non saper rispondere alle contestazioni precise e incontrovertibili del nostro Padrone.Ebbene, Gesù ci dice che c'è un modo per salvarci dalla prevedibile condanna e dalla catastrofe; ed è quello di essere generosi verso il prossimo del nostro perdono, del nostro tempo, del nostro interessamento, del nostro denaro. È, in fondo, ciò che suggeriscela preghiera del Padre nostro: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. È vero che elargendo agli altri le nostre cose noi non diamo propriamente del nostro, perché tutto è dono di Dio; ma Dio è contento così e attribuisce a noi il merito dei regali fatti con i beni suoi; anzi è disposto perfino a tramutare in lode il biasimo che ci sarebbe toccato: Il padrone lodò quell'amministratore; Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.Questa è la strada per la quale anche i ricchi possono sperare di trovare salvezza, come appare da ciò che san Paolo scriveva a Timoteo, e che può convenire in misura diversa a ciascuno di noi: Ai ricchi in questo mondo raccomanda di non essere orgogliosi, di nonriporre la speranza sull'incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché ne possiamo godere; di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera (1 Tm 6,17-19). IL DOVERE DI NON SCENDERE A PATTI CON IL MALE3. E quasi a dissipare ogni equivoco e a ribadire che con questa parabola non vuole insegnarci nessun compromesso con la disonestà e nessun patteggiamento col male, Gesù enuncia il principio del giusto integralismo cristiano: Nessuno può servire a duepadroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona, cioè alla ricchezza, al desiderio di possesso, a tutto ciò che finisce col dominare il cuore dell'uomo.Il servo di cui si parla è lo schiavo del mondo antico, che aveva un servizio a tempo pieno, senza ferie e senza giornate di riposo. Così deve essere il nostro servizio di Dio: non deve avanzare spazio per nessun altro dominatore. Nessuna visione del mondo, nessuna ideologia, può contendere la nostra mente al Vangelo di Cristo; nessun impegno terreno può disputare il nostro cuore all'impegno per il Signore Gesù e per il suo Regno. Le cose del mondo - la mammona - devono servire a noi per l'affermazione della giustizia e della verità, non devono essere servite da noi, perché uno solo è il Signore, come ancora una volta abbiamo ripetuto all'inizio di questa messa: "Tu solo il Signore, Gesù Cristo".
    --------  
    8:52
  • Omelia per la festa della Esaltazione della santa Croce
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8263OMELIA PER LA FESTA DELLA ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE (Gv 3,13-17) di Raniero Cantalamessa Oggi la croce non è presentata ai fedeli nel suo aspetto di sofferenza, di dura necessità della vita, o anche di via per cui seguire Cristo, ma nel suo aspetto glorioso, come motivo di vanto, non di pianto. Diciamo anzitutto qualcosa sull'origine della festa. Essa ricorda due avvenimenti distanti tra loro nel tempo. Il primo è l'inaugurazione, da parte dell'imperatore Costantino, di due basiliche, una sul Golgota e una sul sepolcro di Cristo, nel 325. L'altro avvenimento, del secolo VII, è la vittoria cristiana sui persiani che portò al recupero delle reliquie della croce e al loro ritorno trionfale a Gerusalemme. Con il passar del tempo, la festa però ha acquistato un significato autonomo. E' diventata celebrazione gioiosa del mistero della croce che, da strumento di ignominia e di supplizio, Cristo ha trasformato in strumento di salvezza.Le letture riflettono questo taglio. La seconda lettura ripropone il celebre inno della Lettera ai Filippesi, dove la croce è vista come il motivo della grande "esaltazione" di Cristo: "Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre". Anche il Vangelo parla della croce come del momento in cui "il Figlio dell'uomo è stato innalzato perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna".Ci sono stati, nella storia, due modi fondamentali di rappresentare la croce e il crocifisso. Li chiamiamo, per comodità, il modo antico e il modo moderno. Il modo antico, che si può ammirare nei mosaici delle antiche basiliche e nei crocifissi dell'arte romanica, è un modo glorioso, festoso, pieno di maestà. La croce, spesso da sola, senza il crocifisso sopra, appare punteggiata di gemme, proiettata contro un cielo stellato, con sotto la scritta: "Salvezza del mondo, salus mundi", come in un celebre mosaico di Ravenna.Nei crocifissi lignei dell'arte romanica, questo stesso tipo di rappresentazione si esprime nel Cristo che troneggia in vestimenti regali e sacerdotali dalla croce, con gli occhi aperti, lo sguardo frontale, senza ombra di sofferenza, ma irraggiante maestà e vittoria, non più coronato di spine, ma di gemme. E' la traduzione in pittura del versetto del salmo "Dio ha regnato dal legno" (regnavit a ligno Deus). Gesù parlava della sua croce in questi stessi termini: come del momento della sua "esaltazione": "Io, quando sarò esaltato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12, 32).Il modo moderno comincia con l'arte gotica e si accentua sempre di più, fino a diventare il modo ordinario di rappresentare il crocifisso, in epoca moderna. Un esempio estremo è la crocifissione di Matthias Grünewald nell'Altare di Isenheim. Le mani e i piedi si contorcono come sterpi intorno ai chiodi, il capo agonizza sotto un fascio di spine, il corpo tutto piagato. Anche i crocifissi di Velasquez e di Salvador Dalì e di tanti altri appartengono a questo tipo.Tutti e due questi modi mettono in luce un aspetto vero del mistero. Il modo moderno - drammatico, realistico, straziante - rappresenta la croce vista, per così dire, "davanti", "in faccia", nella sua cruda realtà, nel momento in cui vi si muore sopra. La croce come simbolo del male, della sofferenza del mondo e della tremenda realtà della morte. La croce è rappresentata qui "nelle sue cause", cioè in quello che, di solito, la produce: l'odio, la cattiveria, l'ingiustizia, il peccato.Il modo antico metteva in luce, non le cause, ma gli effetti della croce; non quello che produce la croce, ma quello che è prodotto dalla croce: riconciliazione, pace, gloria, sicurezza, vita eterna. La croce che Paolo definisce "gloria" o "vanto" del credente. La festa del 14 Settembre si chiama "esaltazione" della croce, perché celebra proprio questo aspetto "esaltante", della croce.Bisogna unire, al modo moderno di considerare la croce, quello antico: riscoprire la croce gloriosa. Se al momento in cui la prova era in atto, poteva esserci utile pensare a Gesù sulla croce tra dolori e spasimi, perché questo ce lo faceva sentire vicino al nostro dolore, ora bisogna pensare alla croce in altro modo. Mi spiego con un esempio. Abbiamo di recente perso una persona cara, forse dopo mesi di grandi sofferenze. Ebbene, non continuare a pensare a lei come era sul suo letto; in quella circostanza, in quell'altra, come era ridotta alla fine, cosa faceva, cosa diceva, torturandosi magari il cuore e la mente, alimentando inutili sensi di colpa. Tutto questo è finito, non esiste più, è irrealtà; così facendo non facciamo che prolungare la sofferenza e conservarla artificialmente in vita.Vi sono mamme (non lo dico per giudicarle, ma per aiutarle) che dopo aver accompagnato per anni un figlio nel suo calvario, una volta che il Signore l'ha chiamato a sé, si rifiutano di vivere altrimenti. In casa tutto deve restare com'era al momento della morte del figlio; tutto deve parlare di lui; visite continue al cimitero. Se vi sono altri bambini in famiglia, devono adattarsi a vivere anch'essi in questo clima ovattato di morte, con grave danno psicologico. Ogni manifestazione di gioia in casa sembra loro una profanazione. Queste persone sono quelle che hanno più bisogno di scoprire il senso della festa di oggi: l'esaltazione della croce. Non più tu che porti la croce, ma la croce che ormai porta te; la croce che non ti schiaccia, ma ti innalza.Bisogna pensare la persona cara come è ora che "tutto è finito". Così facevano con Gesù quegli antichi artisti. Lo contemplavano come è ora: risorto, glorioso, felice, sereno, seduto sullo stesso trono di Dio, con il Padre che ha "asciugato ogni lacrima dai suoi occhi" e gli ha dato "ogni potere nei cieli e sulla terra". Non più tra gli spasimi dell'agonia e della morte. Non dico che si possa sempre comandare al proprio cuore e impedirgli sanguinare al ricordo di quello che è stato, ma bisogna cercare di far prevalere la considerazione di fede. Se no, a che serve la fede?
    --------  
    8:13
  • Omelia XXIII Domenica T. Ord. - Anno C (Lc 14,25-33)
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8251OMELIA XXIII DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 14,25-33) di Giacomo Biffi Con questa pagina evangelica - che con qualche sua espressione può anche urtare la nostra sensibilità, e in ogni caso arriva a scuotere lo spirito dalla sua mediocrità - il Signore Gesù ci ricorda energicamente quali debbano essere le condizioni interiori di chi si pone al suo seguito e vuol diventare suo discepolo.Ci sono come due gradi nella sequela di Cristo: il primo è proprio di tutti i battezzati, di tutti i "cristiani", di tutti coloro insomma che vogliono fare del vangelo la norma e l'ispirazione di tutta l'esistenza; il secondo è proprio di coloro che si pongono volontariamente al servizio di una missione particolare che ricevono dal Signore, come è il caso degli apostoli. Ciascuno si deve collocare - sempre con generosità e coerenza - sulla strada che Dio ha voluto per lui. Ciascuno deve tendere alla perfezione e deve fiorire nella santità dove il Signore ha voluto piantarlo. Anche le condizioni della sequela di Cristo, sulle quali il Vangelo di oggi ci invita a riflettere, riguardano tutti noi, quale che sia il nostro stato di vita, pur se dobbiamo riconoscere che queste condizioni valgono più o meno intensamente e urgentemente a seconda dell'impegno che ciascuno liberamente si è preso.;IL DOVERE DI SUBORDINARE OGNI AFFETTO UMANO ALL'AMORE DI CRISTO1. La prima condizione della sequela di Cristo è quella dell'amore: un amore per Gesù che non tema confronti. Il testo dice addirittura: Chi non odia...; parola dura, ma che nel significato del linguaggio semitico vuol solo dire: "Chi preferisce..., chi pone davanti...".Certo, il Signore Gesù non è disumano e non ci proibisce d'amare; non ci proibisce di nutrire affetto per coloro che il sangue o l'amicizia o le circostanze della vita ci hanno collocato vicino; non ci proibisce di contrarre dei forti legami, che insieme sono fonte di grande dolcezza e di grande sofferenza, perché chi più ama più è chiamato a soffrire.Non ci proibisce d'amare, ma vuole che l'amore per lui sia al di sopra di tutto, sia il più grande, il più tenace, il più appassionato. Proprio per questa preminenza dell'amore di Cristo, il vero discepolo di Cristo conserva una grande libertà interiore che, senza essere freddezza o indifferenza o aridità di cuore, gli consente di affrontare i distacchi, le separazioni, perfino le morti delle persone care, con grande pena ma anche con grande serenità.LA NECESSITÀ DELLA CROCE PER ESSERE RINNOVATI2. La seconda condizione della sequela di Cristo è la croce: Chi non porta la sua croce... non può essere mio discepolo.La sofferenza di norma non va ricercata, perché noi siamo fatti per la gioia. Ma quando arriva - e arriva sempre o presto o tardi - va accolta senza ribellioni, perché noi siamo e vogliamo essere discepoli di uno che, pur non avendo il più piccolo torto, è stato crocifisso.Per volontà misteriosa e sapiente del Padre, Gesù non ha potuto rinnovarci senza crocifissione, e noi senza crocifissione non possiamo essere rinnovati.Nessun discepolo di Gesù si illuda che ci sia un'altra strada per cambiare il mondo e salvarlo, per cambiare se stesso e salvarsi.L'INVITO AD UN CRISTIANESIMO SERIO E RESPONSABILE3. La terza condizione è quella della prudenza, cioè della capacità di commisurare le nostre forze coi nostri impegni, e di valutare ogni decisione e ogni atto in tutte le sue conseguenze. E per farci capire la necessità della prudenza nella vita dello spirito, Gesù racconta due parabole prese dalla vita terrena: quella del costruttore, che se non sa far bene il preventivo finanziario rischia il fallimento della sua impresa; e quella del condottiero di eserciti, che se non calcola bene le sue forze e quelle del nemico rischia la sconfitta.Fuori dell'immagine, l'insegnamento è questo. Il Signore non vuole al suo servizio degli irresoluti, della gente incapace di decidere e di impegnare la vita (non una stagione o un anno, ma la vita intera); ma non vuole neppure degli sventati, degli imprudenti, della gente che con la scusa dell'ispirazione divina o del suo carisma o della sua luce interiore si ritiene dispensata dal riflettere su quello che fa e su quello che può fare, dall'esaminare bene gli effetti su di sé e sugli altri di quanto intraprende, dall'ascoltare il magistero della Chiesa o il parere di un confessore saggio e illuminato. E così finisce col commetteredelle pazzie, magari mettendole in conto allo Spirito santo, e col far del male, magari in buona fede, a sé e ai fratelli.Il Signore conceda un po' di buon senso a tutti, ma specialmente alle persone devote.LA NOSTRA PREGHIERAPossiamo ormai concludere la nostra rapida meditazione.Ci siamo messi tutti al servizio di un padrone esigente e buono; esigente perché vuol portarci in alto, buono perché ci prende come siamo e ci aiuta. Pretende molto da noi, ma è disposto a darci lui con la sua grazia quello che pretende. Purché ci affidiamo a lui e lo lasciamo fare. Purché gli chiediamo umilmente nella preghiera quello che per noi è così difficile avere: un amore per lui senza limiti, una vera capacità di portare la nostra croce, un po' di concreta saggezza.
    --------  
    6:50
  • Omelia XXII Domenica T. Ord. - Anno C (Lc 14,1.7-14)
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8250OMELIA XXII DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 14,1.7-14) di Giacomo Biffi Nel contesto di un banchetto in casa di uno dei capi dei farisei, Gesù enuncia alcuni insegnamenti, che ci vengono offerti dall'odierna pagina evangelica. Per la nostra consueta meditazione, proporremo alcune riflessioni che si riferiscono alla cornice del quadro, cioè all'ambiente esterno in cui il Signore viene a trovarsi, e alcune riflessioni che si riferiscono alle parole pronunciate da Gesù.1. LA CHIESA DI CRISTO È DI TUTTIGesù ha accettato un invito a pranzo. Non è la sola volta: il Vangelo annota con molta frequenza questa partecipazione di Gesù ai banchetti. Alcune delle sue frasi più profonde, più decisive, più ricche di luce, sono state proferite appunto nell'atmosfera lieta e serena di una tavola imbandita. In genere noi lo troviamo alla mensa di uomini ricchi e potenti: i farisei, che erano i capi religiosi e politici del suo popolo; e i pubblicani, danarosi e gaudenti. Egli pensa a sfamare i poveri, moltiplicando i pani e i pesci, ma non disdegna di dare ai ricchi la sua compagnia e di riceverne in cambio il loro cibo. Egli dice chiaro che i preferiti di Dio sono i poveri, ma non esclude nessuno dalla sua attenzione e dal suo amore. Perfino ai farisei, che per mentalità, opinioni religiose, classe sociale, erano i più lontani da lui, egli non si rifiuta: la salvezza è offerta a tutti.Perciò la sua Chiesa è e deve restare la Chiesa di tutti, si capisce di tutti coloro che con sincerità accettano le sue norme di vita e tentano onestamente (senza mai riuscirci del tutto) di essere i suoi discepoli. Perciò al suo banchetto - cioè il banchetto eucaristico - non ci sono posti riservati; ed è così che la messa diventa davvero l'immagine del Regno dei cieli.2. GESÙ NON OSTENTA LE SUE VIRTÙCredo si possa fare qualche considerazione anche sul fatto che appare qui uno stile caratteristico di Cristo, quello della discrezione, quello di non ostentare la sua virtù, quello di non infastidire il prossimo con lo sbandieramento dei suoi proclami di austerità. Egli sa digiunare: ma quando digiuna, si nasconde nel deserto, non lo fa sulla piazza. In pubblico si fa vedere come uno che mangia e beve come gli altri.Egli vive da povero, ma la pratica della povertà non lo induce a vestirsi male: il Vangelo parla del suo mantello ornato di frange e della sua tunica preziosa, intessuta in un solo pezzo, che ai piedi della croce fu tirata a sorte. Ho spesso notato che i veri poveri cercano di vestirsi decentemente: hanno troppa paura di non poterlo fare più, un giorno. La divisa ostentata del povero piace soprattutto ai figli dei ricchi, sazi, sicuri, in cerca di nuove emozioni.3. LA TENTAZIONE DEI "PRIMI POSTI" IN OGNI AMBITO DELLA VITACome nota il Vangelo, i commensali di quell'occasione sono alquanto scortesi con lui: Stavano a osservarlo, evidentemente per sorprendere di lui qualche parola o qualche gesto sbagliato. Non si fa così: chi siede a mensa con noi, deve essere da noi trattato con amicizia, non deve essere messo a disagio, non deve sentirsi avvolto da un ambiente ostile.Gesù lo nota e risponde, attaccando per primo con molto garbo coloro che insidiano la serenità del suo pranzo. Avendo osservato come gli invitati sceglievano i primi posti, imparte loro una piccola lezione di buon gusto e di furbizia umana: se non vuoi fare, presto o tardi, una brutta figura, è meglio che resti sempre un po' indietro. Saranno gli altri allora a farti salire.4. IL CRISTIANO RICONOSCE CON UMILTÀ IL PROPRIO REALE VALOREMa il testo dice che il discorso di Gesù è una "parabola", cioè ha un significato più profondo e più importante di quello immediato: esprime cioè un principio che vale soprattutto nei nostri rapporti con Dio.È l'insegnamento dell'umiltà, senza della quale non c'è una vera e feconda vita religiosa. L'umiltà è la virtù che ci fa tener presente sempre quello che veramente valiamo (e cioè non molto in faccia agli uomini e niente in faccia a Dio), e ci comportiamo di conseguenza, evitando ogni autoesaltazione, ogni ostentazione, ogni prepotenza, ogni affermazione arrogante dei nostri diritti (che davanti a Dio sono inesistenti). Allora il Signore ci esalterà e ci darà tutto, perché avremo riconosciuto il nostro reale valore. Come abbiamo ascoltato nella prima lettura: Quanto più sei grande, tanto più umiliati; così troverai grazia davanti al Signore; perché dagli umili egli è glorificato.5. IL CRISTIANO NON CERCA IL PROPRIO VANTAGGIO NEL COMPIERE IL BENE Infine, sempre prendendo lo spunto dalla realtà del banchetto cui stava partecipando, Gesù ci imparte un'ultima lezione: nella vita cristiana, cioè nella vita di fede, di speranza, di carità, non deve entrare mai (o almeno ci si deve sforzare di non fare entrare) il tornaconto umano come motivo delle nostre azioni di bene.Sia quando manifestiamo l'amore verso Dio nella preghiera e in tutti gli atti di culto, sia quando esprimiamo l'amore verso il prossimo facendo del bene, il calcolo dei vantaggi umani non deve contaminare le nostre intenzioni. Così, se non troveremo nessun vantaggio, nessun premio, nessuna corrispondenza, nessuna gratitudine, non ci meraviglieremo, ma ravviveremo la fiducia nel premio della vita nuova ed eterna.Col suo gusto per le frasi paradossali, Gesù ci dice addirittura che dovremo essere felici di non ricavare niente in questa vita dalla nostra bontà, dalla nostra giustizia, dalla nostra religione: Sarai beato... Riceverai infatti la tua ricompensa nella risurrezione dei giusti.
    --------  
    5:58
  • Omelia XXI Domenica T. Ord. - ANNO C (Lc 13,22-30)
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8249OMELIA XXI DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 13,22-30) di Giacomo Biffi Continua in questa domenica la provocazione del Vangelo. Continua la serie delle pagine aspre, degli insegnamenti sgraditi, che hanno però il pregio di scuoterci dal cristianesimo inerte, rassegnato o falsamente ottimista, nel quale tutti qualche volta ci scopriamo adagiati.Scegliamo da questo brano di Luca alcune frasi che ci aiutino a organizzare la nostra breve meditazione.UN SALVATORE CHE VA IN CERCA DELL'UOMOGesù passava per città e villaggi, insegnando. Il suo è dunque un viaggio apostolico, è un ricercare l'umanità dovunque si trovi, è un darsi pena di raggiungere gli uomini, perché tutti possano ascoltare la parola nuova, l'annuncio che tocca i cuori e li trasforma, il messaggio di verità. Si sobbarca alla fatica di girare per gli sparsi centri abitati, perché vuole che a tutti sia portata la possibilità di salvezza. Come si vede, quella che ci viene offerta è l'immagine, consolante e splendida di speranza, di un Salvatore che va in cerca dell'uomo. E proprio a proposito di salvezza il Signore viene un giorno interrogato. IL DOVERE DI NON INDUGIARE NELLE CURIOSITÀ INUTILI E NELLE QUESTIONI OZIOSE Un tale gli chiese: Signore, sono pochi quelli che si salvano? A essere sinceri, lo sconosciuto interlocutore di Cristo ha interpretato la curiosità di noi tutti. Sono tanti o pochi quelli che si salvano? È un problema che presto o tardi tutti si propongono. Alcuni però non si accontentano di farsi la domanda, ma arrivano anche a darsi da soli la risposta. C'è chi risponde: sono pochi. Gli uomini cadono nell'inferno come fiocchi di neve. E c'è chi risponde: si salvano tutti. L'inferno, se c'è, deve essere vuoto. La prima risposta era più frequente un tempo, quando era più forte e vivo nella coscienza comune il senso della colpa. La seconda prevale oggi, in cui nessuno sembra più prendere sul serio l'idea di un vero peccato personale. L'una e l'altra risposta hanno in comune di essere ugualmente infondate e arbitrarie: che ne sappiamo noi della situazione anagrafica del paradiso e dell'inferno? L'unico che avrebbe potuto con cognizione di causa appagare la nostra curiosità era proprio il Signore Gesù. Che però, come abbiamo visto, anche quando è stato espressamente interrogato su questo punto, non lo ha fatto. A chi gli chiede: Sono tanti o pochi?, dice: Sforzatevi. Cioè: invece di farti domande oziose sulla salvezza degli altri, impegnati con decisione a guadagnarti la tua. Più che tentare di violare il segreto di Dio, tieni desta e tesa la volontà di operare ogni giorno per il raggiungimento del traguardo di gioia eterna che ti è stato assegnato, senza la visione buia e scoraggiante di chi ritiene che tutto è contaminato e sopraffatto dal male, e senza la giuliva superficialità di chi si illude che, comunque vadano le cose, alla fine tutto in qualche modo si aggiusta.IL DOVERE DI IMPEGNARSI PER POTERSI SALVARE Sforzatevi di entrare per la porta stretta, dice Gesù. Che significa: la strada che ci condurrà alla casa del Padre è faticosa. Non è e non è mai stato comodo essere veramente cristiani. È la strada che passa per l'osservanza di tutti i comandamenti, che vanno rispettati sempre, anche quando è arduo, anche quando è logorante, anche quando si ha l'impressione di essere soli. È la strada del precetto alto e difficile dell'amore: l'amore di Dio sopra tutte le cose, espresso concretamente nella donazione di noi, del nostro tempo, dei nostri beni; l'amore del prossimo, anche quando il prossimo è antipatico, ostile, ingrato. È la strada del riconoscimento dei propri torti e delle proprie ingiustizie, è la strada della verifica quotidiana della coerenza cristiana della nostra vita, è la strada dell'attenzione ai propri doveri più che ai propri diritti.IL DOVERE DI NON PERDERE TEMPO DI FRONTE AL BENE Il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta. Con questa frase Gesù ci vuol dire che il tempo della pazienza di Dio non si prolunga indefinitamente, che lo spazio per cambiare la nostra condotta e metterci in regola con il Signore non ci sarà sempre concesso. Arriva un momento in cui la porta si chiude, in cui i giochi sono fatti, le decisioni sono prese senza ritorno. Questo è un punto fondamentale della dottrina evangelica: finché c'è vita, c'è sempre speranza di salvezza, anche per il più malvagio dei delinquenti, anche per il più incallito dei peccatori. Ma la vita non c'è sempre. Il momento della morte pone fine a tutte le possibilità: chiuderà la porta. Perciò dobbiamo deciderci subito per il bene, perché non sappiamo quanto tempo ancora ci sia dato.IL DOVERE DI UN CRISTIANESIMO FATTIVO Un ultimo insegnamento possiamo raccogliere dalle parole del Signore: ed è che a farci varcare la porta della salvezza non ci varrà la qualifica puramente verbale di "cristiani", e neppure la familiarità con le discussioni religiose o con la cronaca di vita ecclesiastica. Anche coloro che conoscono i nomi di tutti i cardinali o di tutti i canonici della cattedrale, o hanno letto tutti i documenti del Concilio, o hanno continuato a parlare di giustizia, di carità, di comunità, se non hanno rispettato tutta la legge di Dio e non hanno fattivamente vissuto il comandamento dell'amore, si sentiranno dire: Non so di dove siete. Preghiamo allora e proponiamo perché la nostra condotta ci faccia alla fine trovare aperta e accogliente la porta del Regno.UNA SUPPLICA ACCORATA DI CHI "HA FATTO TARDI" La liturgia ambrosiana della Settimana Santa ha un confractorium (un "Canto allo spezzare del pane") che sembra mettere curiosamente un'estrema preghiera di speranza sulle labbra anche di chi è stato a lungo una "vergine stolta": Non chiudere la tua porta, anche se ho fatto tardi.Non chiudere la tua porta: sono venuto a bussare.A chi ti cerca nel pianto, apri, Signore pietoso.Accoglimi al tuo convito, donami il Pane del regno.
    --------  
    6:36

Altri podcast di Religione e spiritualità

Su Omelie - BastaBugie.it

Commento teologico-pratico al vangelo della domenica (e delle feste liturgiche più importanti dell'anno)
Sito web del podcast

Ascolta Omelie - BastaBugie.it, Anima Ribelle Podcast con Ellis De Bona e molti altri podcast da tutto il mondo con l’applicazione di radio.it

Scarica l'app gratuita radio.it

  • Salva le radio e i podcast favoriti
  • Streaming via Wi-Fi o Bluetooth
  • Supporta Carplay & Android Auto
  • Molte altre funzioni dell'app

Omelie - BastaBugie.it: Podcast correlati

  • Podcast Cristianesimo - BastaBugie.it
    Cristianesimo - BastaBugie.it
    Religione e spiritualità